Quando tutti ti sembrano uguali sapresti quale Prosecco scegliere?
C’era una volta solo il Prosecco, anzi c’è ancora. Il successo del Prosecco di questi ultimi tempi ha praticamente offuscato il ruolo ed omologato le diversità dei terroir produttivi, espressioni qualitative della Glera. Se fino ad ora è stato sinonimo di una bollicina facile, immediata, ottima per tutte le occasioni, finalmente si ha voglia di far notare la differenza.
Se Prosecco è diventato un marchio, che già spiega tutto, come può questa indifferenziazione esaltare le caratteristiche di ciascuna tipologia di Prosecco? Chiaro che per chi mastica marketing non si poteva sperare di meglio. Ma quanto può durare una strategia così? Sono considerazioni che stanno facendo non solo molti prosecchisti, ma anche importanti opinion leader internazionali. Il timore di molti produttori è che non basti più cavalcare l’onda della popolarità del nome. Infatti l’anonimato potrebbe diventare un laccio per tutti coloro che cercano il loro target, insieme ad una migliore consapevolezza del proprio marchio.
Saper scegliere il giusto Prosecco secondo le tipicità traduce ampie potenzialità per un consumo più consapevole
Lauren Eads è esperta giornalista di settore, che scrive per il magazine inglese The drink business. Di recente ha pubblicato un interessante articolo sul trionfo del Prosecco, smascherando anche una scomoda verità. “Mentre se ne consumano grandi quantità, la maggior parte non viene acquistata sulla base della sua storia, del carattere regionale o addirittura della qualità, ma in relazione al suo fascino facile, senza complicazioni e poco costoso. Solo pochi consumatori sono interessati alle diversità del Prosecco come tra la Doc e la Docg, il Cartizze o le Rive, o ancor più importante, esprimono il desiderio di pagare di più per prodotti di maggior qualità espressiva”. Contrariamente al trend la Eads evidenzia come recentemente si stiano iniziando a vedere tentativi più chiari da parte di alcuni produttori di Prosecco di mettere in maggior risalto le proprie tipicità, a partire da quelle territoriali.
Sabrina Monolio, capo sommelier al ristorante Margot di Londra, puntualizza: “Se consideriamo solamente il suo valore dalla prospettiva del mercato, la vendita della premium category del Prosecco è decisamente difficile, ma che dire della qualità? La biodiversità del luogo da cui questi vini provengono? Gli storici pendii e l’impegno dei produttori nello sfidare loro stessi per creare un prodotto eccezionale? Non si dovrebbe permettere al mercato di fermare il loro progresso”.
Un flusso di opinioni fra se e ma
Alex Canetti, direttore dell’off-trade della Berkmann Wine Cellars, spiega che “oggi i consumatori – e a nostro parere tanto quelli italiani come quelli inglesi – non si stanno rendendo conto della miriade di differenziazioni all’interno dell’universo del Prosecco, sia in termini di stile che di caratteristiche gustative”.
Nel contempo le controparti negli USA sostengono, come ci si aspetterebbe, che la facilità di vendita del Prosecco di alta qualità dipenda fortemente dal contesto. Gianpaolo Paterlini, wine director dei 1760 & Acquerello Restaurants di San Francisco aggiunge: “In generale credo che il Prosecco sia visto come uno spumante accessibile, delizioso e relativamente semplice. Il consumatore medio si troverebbe forse in difficoltà a pagare un Prosecco di alta qualità nel mercato di oggi, però dipende certamente dalle circostanze”.
In un flusso di opinioni contrastanti c’è ancora chi pensa sia prematuro aspettarsi che tutti i consumatori possano riconoscere le differenze tra i numerosi terroirs del Prosecco. Lo stesso Consorzio di Tutela della D.O.C.G. Conegliano Valdobbiadene, riconosciuto nel 2009, è considerato da alcuni troppo giovane per poter aver acquisito una corretta notorietà.